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Pàolo, santo.

Apostolo e martire. Una parziale ricostruzione della sua biografia è possibile sulla base di due fonti: le Lettere e gli Atti degli apostoli di Luca che, pur presentando alcune discrepanze soprattutto cronologiche, non offrono tuttavia notizie fra loro inconciliabili. Nato a Tarso, in Cilicia (per cui è correntemente noto anche come P. di Tarso), fino al tempo del suo primo viaggio apostolico fu chiamato con il nome semitico Saulo, cui sostituì quello romano di P. (non si sa se quest'ultimo fosse accanto all'altro già dall'infanzia, o se l'avesse assunto dopo l'incontro con il proconsole romano Sergio Paolo). Di famiglia ebrea osservante e appartenente alla setta dei farisei, P. si formò intellettualmente con lo studio della Torah e frequentò a Gerusalemme la scuola rabbinica di Gamaliele, il maestro più stimato a quei tempi. Dai suoi scritti, però, si evince anche una conoscenza della cultura classica, del latino e sicuramente del greco nella forma della koiné; inoltre ereditò dal padre la cittadinanza romana. Non conobbe personalmente Gesù, ma ebbe contatti con i primi cristiani, e in particolare con il protomartire Stefano, presenziando anche alla sua lapidazione. Fu uno dei promotori delle prime persecuzioni anticristiane, sia in Palestina sia presso le comunità ebraiche delle regioni limitrofe. Tuttavia, intorno al 35, il suo atteggiamento nei confronti del Cristianesimo mutò repentinamente dalla più accesa avversione alla conversione. Secondo il racconto degli Atti e le allusioni fatte da P. stesso nella lettera ai Galati, mentre si recava a Damasco l'apostolo ebbe una visione, attraverso la quale fu chiamato da Cristo stesso alla missione e alla predicazione. A tale episodio, che rappresentò il punto centrale e di svolta della sua vita, egli fece sempre risalire l'origine della propria vocazione e del proprio compito, come a una chiamata ricevuta "non da parte di uomini, ma per mezzo di Gesù Cristo e da parte di Dio Padre" (Galati, 1, 1). A Damasco ricevette il Battesimo da Anania e di lì si recò ad Antiochia per un primo tentativo di predicazione che ebbe scarso successo. P. decise allora di ritirarsi nel deserto arabico, dove rimase per circa tre anni, e solo in seguito, dopo un breve periodo trascorso a Damasco (da dove fu costretto alla fuga), si recò a Gerusalemme per ricevere il riconoscimento da parte di Pietro, Giacomo e Giovanni. Fu Barnaba, in quell'occasione, a garantire la sincerità della sua conversione e in seguito a volerlo come compagno in un viaggio missionario, il primo di quelli paolini, cui partecipò anche un Marco, quasi sicuramente da identificare come l'evangelista. Essi si recarono prima ad Antiochia, dove P. cominciò a rivolgere la propria parola ai gentili, e di lì, intorno al 46, si spostarono a Cipro, poi in Panfilia, Pisidia, Licaonia (nella città di Listra P. sfuggì miracolosamente a una lapidazione) e rientrarono ad Antiochia nel 49 circa. In quegli anni, P. si oppose con fermezza alla pretesa, da parte dei cristiani di origine ebraica, che fosse imposta la circoncisione e l'osservanza dei precetti mosaici anche ai pagani convertiti. La questione fu sottoposta a Pietro e agli altri apostoli, cui peraltro P. aveva già rimproverato di discriminare fra giudeo-cristiani e gentili convertiti. A Gerusalemme prevalse la tesi di una distinzione netta fra Cristianesimo e Giudaismo, pur se ammorbidita dal consenso all'osservanza delle pratiche mosaiche per i giudei e dalla raccomandazione ai convertiti non circoncisi di non urtarne la sensibilità. Tale vicenda accentuò il carattere autonomo e indipendente della vocazione paolina e P. intraprese, intorno al 50, un secondo viaggio, in compagnia di Sila o Silvano, visitando le comunità cristiane già fondate di Licaonia (Derbe, Listra e Iconio) e giungendo fino in Galazia e poi in Grecia, attraverso la Macedonia, predicando a Filippi, Tessalonica, Atene e Corinto. P. affrontò grandi sofferenze di ordine fisico e spirituale (flagellato e imprigionato a Filippi, processato a Corinto, deriso dopo il celebre discorso nell'Aeropago ad Atene), ma riuscì a dar vita a comunità numerose e vivaci, cui rimase sempre legato. Nel 53 (secondo una cronologia basata in prevalenza sugli Atti) rientrò a Gerusalemme, ma ne ripartì nel 54 per il suo terzo viaggio, durato circa quattro anni, che ebbe come obiettivo l'evangelizzazione delle città asiatiche, a partire da Efeso, Mileto, Colosse, Laodicea, ecc. Si recò infine in visita presso le chiese di Macedonia e di Corinto, donde riportò le collette di sostegno per la comunità di Gerusalemme. Qui P., accusato ingiustamente dagli Ebrei di aver profanato il Tempio, rischiò il linciaggio e fu salvato dall'intervento di un tribuno romano. Tratto in arresto e condotto davanti al Sinedrio, che non riuscì a giudicarlo, fu condotto dai Romani a Cesarea per sottrarlo a un complotto che mirava ad assassinarlo. Le differenti valutazioni riguardo la durata della prigionia di P. presso il procuratore Felice è causa di una delle maggiori discrepanze nella cronologia paolina. Quando Felice fu sostituito nella carica da Porcio Festo (forse nel 58, forse nel 60), P. si appellò ai suoi diritti di cittadino romano e chiese un processo a Roma, dove, con un viaggio fortunoso, fu trasferito. Qui attese di essere giudicato godendo di una sorta di "libertà vigilata", grazie alla quale poté conoscere e partecipare attivamente alla vita della chiesa locale. Secondo la tradizione, derivata soprattutto agli Atti, P. fu prosciolto intorno al 63 e compì un viaggio in Spagna (attestato solo dagli apocrifi Atti di Pietro del II sec.) e un altro in Oriente (Creta, Alessandria Troade, Efeso, Mileto), per essere nuovamente arrestato in Epiro e tradotto a Roma. La seconda prigionia e il processo si conclusero nel 67 con il martirio, probabilmente per decapitazione, presso le Aquae Silviae. Una cronologia basata sulle Lettere paoline tenderebbe a spostare la data della morte al 60, se non addirittura al 58, e comunque offrirebbe elementi per ritenere che non vi sia stata una seconda prigionia e che la decollazione sia stata comminata già al termine della prima. Festa: 29 giugno (Tarso, Cilicia prima decade del I sec. d.C. - Roma tra il 58 e 67). ║ Lettere di san P.: durante i suoi viaggi P. aveva affiancato alla predicazione diretta un nuovo metodo di apostolato, esercitato attraverso scritti in forma di epistula. Tali lettere, contenenti espressioni di affetto e di sollecitudine, erano anche strumento per inviare e far circolare consigli e precetti riguardanti la disciplina comunitaria, la gerarchia e la liturgia, riprendere temi sviluppati nella predicazione personale durante le visite precedenti, fornire la retta interpretazione intorno a questioni dottrinali (si pensi al problema della seconda venuta di Cristo) o la correzione di abusi e di comportamenti sconvenienti (si pensi ai rimproveri rivolti ai fedeli che si rifiutavano di lavorare perché in attesa della parusia). Compreso nel Nuovo Testamento, l'epistolario paolino è costituito da 14 lettere, di cui: un gruppo sicuramente composto da P. (I e II Tessalonicesi, I e II Corinzi, Filippesi, Filemone, Galati, Romani), e un gruppo considerato, con maggiore o minore certezza, pseudepigrafo e da attribuirsi a discepoli dello stesso P. (Colossesi, Efesini, I e II Timoteo, Tito). La lettera agli Ebrei, sprovvista di mittente e considerata di dubbia paternità già nel II sec., è sicuramente spuria. Tale classificazione è giustificata sulla base di fattori stilistici (in particolare variazioni del lessico), di elementi contenutistici e teologici (relativi alla cristologia e alla ecclesiologia) e storiografici (in quanto alcuni dati non riescono a essere inseriti plausibilmente nel quadro della biografia paolina). Nonostante tutto, l'intero epistolario dipende strettamente dal pensiero e dal magistero di P. stesso, di modo che tutti gli scritti contribuiscono a testimoniare e trasmettere la sua originale interpretazione e predicazione del Vangelo: con esso P. influenzò e sostanziò la storia del pensiero cristiano e la teologia neotestamentaria dai primi secoli alla Scolastica e, attraverso Riforma e Controriforma, ha mantenuto un valore imprescindibile fino al tempo attuale. ║ Teologia paolina: le lettere di P. non offrono, ovviamente, un'esposizione sistematica della sua concezione teologica, essendo esse nate da circostanze specifiche e storicamente determinate e rispondendo a necessità pastorali precise e limitate nel tempo e nello spazio. Tuttavia è possibile dedurne i contenuti centrali e coesivi dell'azione e della predicazione del santo. La teologia paolina si caratterizza per l'originalità e l'innovazione dei contenuti cristologici, soteriologici ed escatologici, cui si connette la sua visione antropologica ed etica. Il centro del cherugma (annuncio) sta nel fatto che Cristo, morto e risorto, è la salvezza: per P., più che la vita e la predicazione di Gesù, il suo esempio morale e i suoi insegnamenti (narrati analiticamente dai Vangeli), sono importanti gli eventi della Morte e della Resurrezione. La fede nella persona storica e determinata di Cristo (non in una divinità indefinita e impersonale), nel potere salvifico degli avvenimenti della Sua vita, valido per tutti gli uomini e per l'intero creato, è il vero discrimine rispetto all'Ebraismo e, d'altra parte, tale fede è anche l'unico atto che permetta all'individuo di rapportarsi all'evento cristologico. Dunque l'uomo, per P., non è più salvo per aver compiuto opere ottemperanti la Legge, ma è giustificato per la fede. Le promesse escatologiche che il Giudaismo rendeva accessibili solo in virtù dell'appartenenza al popolo eletto e al rispetto del precetto mosaico, sono ora disponibili, attraverso Cristo morto e risorto, a qualsiasi uomo che abbia fede ("In Cristo Gesù non c'è più giudeo né greco, né schiavo né libero, né uomo né donna", Galati, 3, 28; "In Cristo Gesù ciò che conta non è la circoncisione ... ma la fede che opera per mezzo dell'amore", Galati, 5, 6). Dalla visione antropologica quasi dualista (per cui l'uomo è combattuto nel suo intimo ed è soggetto alla carne, vista come alienazione da Dio e fonte del peccato), emerge una delle maggiori suggestioni dell'ellenismo sul pensiero paolino: è infatti solo lo Spirito che, raggiungendo il credente mediante il Battesimo e l'Eucarestia, può annullare la condizione di schiavitù generata dal peccato e destinare l'uomo alla salvezza. L'etica e il comportamento morale sono, perciò, secondari (cioè successivi) rispetto alla fede, almeno per quanto riguarda la giustificazione e la salvezza; tuttavia è la fede stessa che richiede e spinge ad aderire al comandamento dell'amore vicendevole. A P., infine, si deve la prima approfondita riflessione ecclesiologica. La Chiesa è la comunità dei battezzati, corpo di Cristo di cui Cristo stesso è il capo, Sua estensione e permanenza nella storia. In essa lo Spirito suscita i vari carismi, o doni, o ministeri, il più importante dei quali è quello dell'agápe: l'amore. La molteplicità delle comunità (le membra) e dei doni non toglie che la Chiesa sia una e riunita in Cristo. Anche l'ecclesiologia, come già l'antropologia e l'etica, sono viste però in funzione dell'escatologia, dal momento che la vita della Chiesa come quella del singolo credente non è che un tempo intermedio in attesa del ritorno di Cristo e della resurrezione finale. • Icon. - A partire dal IV sec. risulta già attestato il tipo iconografico con fronte alta, viso allungato, barba scura e appuntita e il libro o il cartiglio, simbolo proprio degli evangelisti, in riferimento ai suoi scritti. Più tardo è l'attributo della spada segno del martirio. Spesso è raffigurato con san Pietro, come fondatore della Chiesa, o con il gruppo dei dodici apostoli. L'episodio della conversione sulla via di Damasco è stato soggetto indipendente di numerose opere, in cui P. viene di norma rappresentato disarcionato da cavallo. • Lett. - Apocalisse di P.: scritto apocrifo, anteriore alla metà del III sec. e conosciuto anche come Visio Pauli. Era forse conosciuta da Origene, ma lo fu sicuramente da Agostino. È stata tramandata in diverse recensioni tutte dipendenti da un originale greco poi perduto. Essa, narrando una visione avuta da P., descrive la condizione dei defunti in paradiso e all'inferno, supponendo che essi vi giungano subito dopo la morte, senza dover attendere il giudizio finale (questione a lungo dibattuta nei primi secoli del Cristianesimo). Dante (Inferno, II, 28-31) mostra di conoscere questo testo, se non direttamente almeno nei suoi contenuti. ║ Atti di P.: scritto apocrifo anteriore alla fine del II sec. Durante i primi secoli ebbe una certa diffusione ed era considerato da alcuni come dotato di autorità canonica (Ippolito), da altri vivacemente avversato (Girolamo, Tertulliano). Gli Atti narrano una lunga serie di peripezie vissute dall'apostolo P. in varie città, da Damasco a Roma, e anche il suo martirio.